Presidio antirazzista 14 maggio – un contributo al dibattito sui “profughi”

Presidio antirazzista
Sabato 14 maggio ore 11 davanti all’anagrafe di Reggio Emilia  (Via Toschi 27)

13094232_544627229075115_5055654771482759950_n

E’ sicuramente semplice cambiare un menu ma non lo è cambiare un sistema, noi pensiamo però che sia possibile a partire dalla nostra città. incontriamoci, discutiamo e non lasciamo spazio al razzismo. la prima occasione per farlo è sabato 14 maggio !

Cambiare il menu è semplice, cambiare il sistema è un’altra cosa…

I richiedenti asilo, i cosiddetti profughi tornano a far parlare la città di Reggio Emilia, dopo i fatti del 27 aprile scorso in cui un gruppo di una trentina di migranti in maggioranza pakistani accolti nel progetto CAS (Centro di accoglienza straordinaria) protestano in questura per il cibo servito alla mensa in cui quotidianamente consumano il pasto. Qui ci fermiamo perché la dinamica della contestazione è stata ampiamente descritta, tanto è che è diventato un caso nazionale ed ognuno su questa vicenda ha detto la sua, un argomento trattato con toni alquanto coloriti sia durante le discussioni da bar che da alcuni esponenti della politica, un argomento di cui ognuno ha qualcosa da dire.
Non ci interessa entrare nell’oggetto della contestazione perché il cibo ha sicuramente anche risvolti psicologici che vanno oltre la pasta e il riso e il mal di pancia può essere un campanello di allarme per varie questioni. Dall’altra parte, sempre da un punto di vista psicologico, contestare il cibo che “viene offerto” in Italia, in terra reggiana suscita malumori a volte ingestibili, soprattutto se ci si ferma qui, soprattutto se non si conosce il contesto.
Una cosa è certa si parla di “loro”, si parla di “noi”, si parla dell’accoglienza, o meglio si mette in discussione l’accoglienza.
Ad inizio settembre, dopo le polemiche uscite sui “profughi” a Festa Reggio, abbiamo scritto un nostro intervento che terminava con questa proposta : pensiamo sia giunto il momento di avere coraggio ed aprire un dibattito cittadino vero in cui discutere delle politiche in tema di immigrazione in generale e di accoglienza in particolare, senza paure dei conflitti, che metta in campo e a confronto tutti gli attori del territorio, compreso chi dal basso quotidianamente agisce l’accoglienza e lotta perché in questa città possa esserci spazio per tutte e tutti, anche quando i progetti istituzionali giungono al termine. Questo dibattito, che oggi rilanciamo, non c’è stato. Crediamo sia fondamentale aprire, in città, la questione a livello pubblico di chi gestisce l’accoglienza e la cittadinanza, così come le parti sociali coinvolte perché solo in questo modo si crea conoscenza e consapevolezza e soprattutto si possono mettere in rete esperienze e proposte. Il silenzio non paga e lascia spazio a razzismi e a chi, come la Lega Nord, fomenta la guerra fra poveri, come se l’italiano non arriva più a fine mese, viene sfrattato e non trova lavoro per colpa del profugo, come se fosse reale che se il profugo tornasse al suo paese l’italiano allora trova un lavoro dignitoso, una casa e una pensione che gli permette di vivere in tranquillità. Chi ci deruba quotidianamente non è certo il profugo ma sono le politiche di austerità che incombono sulle vite di tutte e tutti noi, profugo compreso.
Iniziamo a fare un po’ di ordine e ad aprire una discussione che vogliamo condividere ad iniziare da una piazza antirazzista il 14 maggio quando la Lega Nord ha lanciato un mobilitazione a Reggio contro l’accoglienza. All’ignoranza vogliamo contrapporre la conoscenza, all’arroganza la capacità di costruire ponti e relazioni, alla guerra fra poveri la costruzione di un mondo di pari dove ci sia spazio per tutte e tutti.
Sappiamo che la discussione è articolata e parte da un quadro internazionale, europeo, nazionale e poi reggiano. Affrontiamo in questo breve scritto la questione schematicamente e a punti, ma con l’obbiettivo di un confronto e un approfondimento fra tante e tanti.
Le persone di cui si parla, “i profughi”, provengono da contesti internazionali e paesi diversi. C’è chi fugge dalla guerra (ricordiamo inoltre come nell’ultimo anno è triplicata la vendita di armi italiane all’estero e sono aumentate le forniture verso Paesi in guerra- fonte Nigrizia) , chi da un contesto di povertà, chi è alla ricerca di un futuro migliore. Ribadiamo un concetto banale: non c’è niente di più casuale del luogo in cui si nasce e il luogo in cui si nasce e il passaporto che si avrà in tasca permetterà o meno di spostarsi e di scegliere il luogo in cui vivere.
Come si arriva in Europa? Lo abbiamo detto più volte, non esistono canali di accesso regolari, l’unico modo è quello dei viaggi clandestini, dove si affida la propria vita a trafficanti di esseri umani (i morti di frontiera sono numeri che rasentano un bollettino di guerra) e costosi, dove molte volte si intraprendono debiti che poi una volta arrivati in Europa, chi sopravvive, deve saldare, affidando spesso la propria vita in mano alla tratta o allo sfruttamento direttamente nel paese di arrivo. L’UE intanto ha chiuso la rotta balcanica affidando il lavoro sporco dei respingimenti illegittimi alla Turchia di Erdogan, un paese che nei fatti viola ogni giorno i diritti umani . Nella stessa direzione dell’accordo UE- Turchia si inserisce la proposta Di Matteo Renzi del Migration Compact ,una riproposizione in chiave africana (e in particolare libica), dell’intesa raggiunta tra Bruxelles e Ankara.
Sempre, per chi sopravvive ed arriva in Europa, il primo paese di approdo (o meglio il primo paese in cui la persona è identificata) sarà il paese che esaminerà la richiesta di asilo, deciderà quindi se rilasciare o meno un permesso di soggiorno e se sì quale tipologia di protezione. In Italia esiste l’asilo politico, la protezione sussidiaria e la protezione umanitaria. In base alla tipologia del permesso di soggiorno rilasciato si avranno determinati diritti. Cosa certa è che queste tipologie di permesso di soggiorno permettono di viaggiare in Europa per tre mesi come turisti ma di non stabilirsi in altri paesi europei e di non poter lavorare (almeno in regola…).
Ed ecco l’Europa che erige muri interni e controlli alle frontiere mettendo in seria discussione la libera circolazione all’interno dell’Unione Europea , principio cardine della costituzione dell’UE.
E chi arriva in Italia, dovrà stare in Italia, anche se in altri paesi europei ha amici o reti famigliari che potrebbero agevolare un inserimento nel territorio, o semplicemente perché il tasso occupazionale è più alto e quindi le prospettive di un lavoro sarebbero molto più favorevoli rispetto al nostro paese. Che cosa succede quindi a chi riesce ad arrivare vivo in Italia? Come funziona l’accoglienza? Esiste un progetto nazionale , con declinazioni in vari territori denominato SPRAR, un sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati con una possibilità di capienza di circa 20mila posti.
Nel 2015 sono arrivate in Italia circa 150mila persone e si è creato un circuito di accoglienza “parallelo” denominato CAS (centro di accoglienza straordinario) dove gli standard di accoglienza non sono di certo ad oggi quelli del progetto SPRAR. Per rendere l’idea a livello locale lo SPRAR conta una 50ina di posti mentre le persone accolte all’interno del progetto CAS sono circa 700.
Le persone arrivano in Italia e passano attraverso una prima accoglienza (sistema delle identificazioni e dei centri di smistamento, che meriterebbe un’attenta ed approfondita analisi ) ed infine arrivano nel CAS che comunemente viene definito progetto Mare Nostrum, che è parte dello stesso progetto governativo dipendente dal Ministero degli Interni e nei territori gestito dalla Prefettura che affida tramite bando.
A Reggio Emilia il bando è stato vinto dal raggruppamento temporaneo di Impresa di cui la Dimora di Abramo è capofila. I migranti accolti all’interno di questi progetti richiedono tutti la protezione internazionale, per cui per loro inizierà l’iter di attesa della commissione che valuterà la loro domanda di asilo. I tempi sono spesso lunghi e non è scontato che la domanda vada a buon fine e si scontrano con l’iter burocratico della richiesta di asilo e di tutto quello che ciò comporta. A volte si rimane per lungo tempo con un permesso scaduto perché i tempi per il rinnovo sono spesso lunghi. Questo comporta che non è possibile procedere per esempio ad un’iscrizione anagrafica e ad un tirocinio lavorativo. Una burocrazia che molte volte rallenta dei possibili percorsi di inserimento, anche lavorativi.
Il primo step dell’accoglienza a Reggio prevede che le persone siano ospitate in alberghi (sia cittadini che in provincia) , e in questo primo momento il pasto viene consumato in mensa. In un secondo momento le persone vengono trasferite in appartamenti, gli enti che gestiscono l’accoglienza li affittano sul libero mercato, sia a Reggio Emilia che in provincia. Anche su questo sarebbe interessante aprire una discussione vera: quali difficoltà si incontrano nei diversi comuni, sia con le amministrazioni sia con gli uffici preposti , sia con il territorio in senso generale e quali le collaborazioni.
Quanto dura il percorso di accoglienza? Il percorso di accoglienza dura fino a quando la persona ha ottenuto il permesso di soggiorno o in caso di diniego fino al primo grado dell’appello. Quanti sono i dinieghi? In Emilia Romagna la maggior parte delle persone ottiene un permesso di soggiorno che è la protezione umanitaria, mentre la media in Italia è di circa la metà di dinieghi che poi la maggior parte viene vinto tramite ricorso.
Come viene gestito il progetto di accoglienza, come vengono investiti i soldi ?(che ribadiamo non provengono dai Comuni)Su questo pensiamo sia importante un intervento degli enti che gestiscono l’accoglienza per rendere noto e conto alla cittadinanza i percorsi e gli investimenti (questi ultimi hanno anche ricadute sull’economia locale, pensiamo solo agli affitti delle case sul libero mercato, agli alberghi, alle mense…) in modo da poter mettere in rete esperienze, condividere percorsi, idee e proposte e cambiamenti.
Cosa succede una volta che queste persone vengono dimesse dal progetto di accoglienza? Le persone escono e altre entrano. Molte delle persone che escono dai percorsi di accoglienza le incontriamo perché si rivolgono alla nostra associazione così come ad altre del territorio. Alcune vanno a lavorare nelle campagne del sud o nei campi di Saluzzo, in nero per una ventina di euro al giorno. Altri provano ad andare in altri paesi Europei, anche qui per lavorare, in nero, con il loro permesso non si può lavorare in regola.
Alcune di queste persone a Reggio Emilia, rimaste senza casa, hanno occupato degli stabili abbondanti in città, alla luce del sole, rivendicando il diritto all’abitare ed ad un vita degna. Noi li sosteniamo ed insieme stiamo sperimentando forme di sostentamento creando competenze e rafforzando reti solidali.
E’ sicuramente semplice cambiare un menu ma non lo è cambiare un sistema, noi pensiamo però che sia possibile a partire dalla nostra città. incontriamoci, discutiamo e non lasciamo spazio al razzismo. la prima occasione per farlo è sabato 14 maggio !

Ass. Città Migrante