Diritto all’abitare, accoglienza, residenza-Voci dalle case occupate di Reggio Emilia

Ormai migliaia di persone hanno perso la vita per raggiungere il nostro paese. E non a causa di calamità naturali, ma di leggi che producono morte. Se le persone potessero arrivare in Europa legalmente e in sicurezza, tra l’altro con costi inferiori rispetto a quelli che sono costrette a sostenere per i viaggi clandestini, non lo farebbero? Sembra fin troppo scontato dirlo.
Ma sulla pelle dei migranti si giocano da sempre partite importanti. Basti pensare alla militarizzazione dei territori, al controllo della mobilità delle persone, ai CIE, fino ad arrivare all’operazione Mare Nostrum, la gestione da parte dell’”umanitario”/militare degli sbarchi e delle cosiddette emergenze.
Sappiamo che i migranti non muoiono solo in mare. Ogni giorno, attraverso i progetti portati avanti dalla nostra associazione, parliamo con chi è riuscito ad arrivare nella nostra città, nelle nostre fabbriche, nelle nostre strade, con i “sopravvissuti”. Troppe storie di diritti negati. Perché il viaggio è rischioso per le vite di chi lo intraprende, così come la permanenza in Europa, una permanenza clandestina che arricchisce gli sfruttatori.

Abbiamo conosciuto donne e uomini che hanno lasciato la propria terra alla ricerca di un futuro migliore. Li abbiamo visti alle prese con una burocrazia difficile e contorta, con prassi diversificate e a volte arbitrarie da parte della pubblica amministrazione.
Come si fa?, Dove devo andare?, Ho rinnovato il permesso di soggiorno ma sono mesi che sto aspettando di ritirarlo?, Mi hanno rifiutato la carta di soggiorno, perché? Sono andato in quell’ufficio e mi hanno detto di andare da un’altra parte. Sono stato tre ore ad aspettare in questura e non mi hanno fatto niente. Voglio ricongiungermi con mia moglie e mio figlio ma la mia casa non è abbastanza grande….mi hanno sfrattato, sono senza casa e ora perderò anche la residenza…., non ho un domicilio come faccio a rinnovare il permesso di soggiorno….? Mi sono iscritto al test di lingua italiana per avere la carta di soggiorno, sono più di sei mesi che sto aspettando nel frattempo mi sono scaduti gli altri documenti, devo rifarli, il problema è che costano molto…Mi hanno bocciato al test di lingua italiana, mi vergogno ma io non so leggere e scrivere… Non ho i soldi per pagare il ticket come faccio a fare la visita medica?….
Abbiamo sentito la paura di chi quotidianamente è costretto a vivere nell’invisibilità. Abbiamo assistito alla gara del Decreto flussi e alla sanatoria truffa.
Ci hanno raccontato che una residenza a Reggio Emilia costa 300 euro, che se vuoi lavorare in regola in alcuni casi sei costretto a pagarti i contributi.
Abbiamo conosciuto chi è scappato dal proprio paese perché perseguitato e torturato, arrivato a Reggio Emilia, escluso da ogni progetto di accoglienza, costretto a vivere in strada.
Abbiamo seguito la procedura di richiesta asilo e tutto l’iter che ha portato al riconoscimento dello status di rifugiato.>BR>

La gestione degli sbarchi, così come quella dell’accoglienza è come sempre emergenza. In realtà i numeri non parlano di emergenze e, insieme ai percorsi di arrivo garantito e a un sistema di asilo europeo che rispetti la libertà di scelta e di movimento delle persone e i loro diritti, è indispensabile esigere adesso l’apertura di canali di ingresso legale per tutti i migranti, che a milioni sono sfruttati all’interno di un’economia neoschiavistica in tutta Europa, favorendo anche in questo modo fenomeni di tratta degli esseri umani..
Queste proposte sono talmente razionali da non prevedere costi aggiuntivi, ma semplicemente la riconversione delle spese ad oggi destinate al controllo militare delle frontiere interne ed esterne, agli armamenti e agli addestramenti destinati a questo scopo, all’apparato detentivo dei Centri di identificazione ed espulsione europei, ovunque luoghi costosissimi, disumani, e comprovatamente inutili. Nonostante questo, o forse proprio per questo, nessuna istituzione le porterà mai avanti.

L’accoglienza non si determina solo nel garantire un alloggio (seppur importante ed indispensabile) ma nell’abbattere tutte le barriere e gli ostacoli che impediscono l’esercizio pieno dei diritti.
A Reggio Emilia molte volte l’accoglienza è stata nominata e non così praticata. Infatti tante sono le persone che vivono in stabili abbandonati e altri, in particolar modo richiedenti asilo, non hanno accesso a percorsi di inserimento nel territorio e tutele come la loro condizione particolare richiederebbe.
Inoltre molti degli ostacoli che i migranti incontrano nella nostra città sono di carattere burocratico, perché hanno a che fare direttamente con la burocrazia ma in realtà vanno poi ad agire su quello che è l’ambito politico di come funziona un territorio. Accogliere significa anche rimuovere questi ostacoli, monitorare le prassi messe in atto da tutte le pubbliche amministrazioni, come per esempio le iscrizioni anagrafiche, monitorare comportamenti discriminatori e razzisti (che sappiamo si verificano a Reggio Emilia), monitorare le prassi della questura e in caso siano discriminatorie sarebbe compito dell’amministrazione comunale intervenire. Chi “gestisce” il corpo sociale dell’accoglienza non deve essere uno spettatore passivo, come molte volte accade, ma attore del cambiamento ponendo al centro le persone che assiste come portatori di diritti e non come semplice utenza denunciando le pratiche di abuso e non lasciare che siano gli organi di polizia a determinare le politiche cittadine in tema di immigrazione.

Diritto alla città

A Reggio Emilia, così come in tante altre città d’Italia, una volta decretata la fine del Piano “Emergenza Nordafrica”, molti migranti che si trovavano alloggiati presso strutture comunali si sono ritrovati in strada. Milioni e milioni di euro spesi per gestire quella che avrebbe dovuto essere l’accoglienza e che in molti casi è stato invece un vero business, senza garantire percorsi di vera tutela e di inserimento nel territorio. Delle quasi 200 persone arrivate nella provincia di Reggio Emilia nel 2011 c’è chi ha scelto di tentare la fortuna in altri paesi europei rimanendo poi ingabbiato nel regolamento di Dublino, chi si è trasferito in altre città e chi è andato ad ingrossare la manodopera sfruttata nella campagne del sud durante le raccolte. Altri sono rimasti sul territorio. Chi è stato più fortunato ha trovato ospitalità presso qualche amico in città, qualcuno è alloggiato al dormitorio, altri vivono in luoghi abbandonati, ed alcuni stanchi di passare il giorno e le notti in strada il 28 aprile del 2013, si sono riappropriati di un diritto fondamentale, quello di avere una casa, occupando uno stabile lasciato all’abbandono da oltre vent’anni. Un secondo stabile abbandonato è stato occupato il 19 maggio del 2014, riappropriandosi dal basso di un diritto negato.
Con il sostegno dell’associazione Città Migrante e grazie alla solidarietà di molti sono iniziati una serie di lavori, tutt’ora in corso, per cercare di rendere il più abitabile possibile gli stabili.
Nella prima occupazione è stata portata avanti una battaglia per il riconoscimento della residenza, battaglia vinta a marzo 2014

La risposta di chi governa a chi è costretto alla strada e intraprende percorsi di autodeterminazione per uscire dall’invisibilità e dalla marginalità si concretizza con mani-militari attraverso gli sgomberi e con leggi che negano diritti fondamentali a chi occupa un immobile.
Infatti, lo stesso Governo che si trova a gestire la nuova “emergenza/accoglienza” istituisce il Piano Casa in cui all’art 5 si trova scritto:

Art. 5
(Lotta all’occupazione abusiva di immobili)
1. Chiunque occupa abusivamente un immobile ai sensi dell’articolo 633, primo comma, del codice penale, non può chiedere la residenza né l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge.

Negare la residenza significa negare un diritto fondamentale che dovrebbe essere garantito.
La residenza, secondo il diritto italiano, art. 43, II comma c.c. è il luogo in cui la persona ha la dimora abituale.
Secondo la giurisprudenza si prevedono due requisiti. Uno oggettivo che è determinato dalla permanenza di una persona in un determinato luogo e uno soggettivo che è determinato dalla volontà di tale permanenza. Questo significa che per essere iscritta nell’anagrafe di un determinato Comune la persona deve effettivamente trovarsi in quel posto e deve voler essere iscritta nella popolazione residente di quel determinato luogo.
In presenza di questi elementi, come stabilito dalla Cassazione (Cass. n. 1081/68) la residenza è un diritto soggettivo perfetto, rispetto al quale la legge attribuisce all’autorità amministrativa compiti di accertamento ma non margini di discrezionalità.
Non è quindi richiesta per l’iscrizione anagrafica né la proprietà dell’immobile, né un contratto di locazione.
È stato riconosciuto al giudice ordinario il potere di obbligare la pubblica amministrazione al riconoscimento del diritto alla residenza, qualora ci siano i presupposti, e di condannare la stessa al risarcimento dei danni.
L’iscrizione nei registri anagrafici è un presupposto indispensabile per beneficiare di molti diritti, i più conosciuti sono il diritto di voto e il diritto all’assistenza sanitaria. Ma non sono i soli.
Senza residenza non si può accedere al gratuito patrocinio, quindi all’assistenza legale a spese dello stato così come alle prestazioni sociali. Qualche esempio: non si può percepire una pensione pur avendone maturato i requisiti né gli assegni familiari, così come accedere ad un’assistenza sociale. Anche l’iscrizione al centro per l’impiego ( salvo prassi differenti in alcuni Centri per l’impiego in Italia) e quindi l’accesso al lavoro è subordinato alla residenza. Senza iscrizione anagrafica non è possibile aprire una partita IVA, quindi svolgere un’attività lavorativa autonoma.
Nel caso la persona sia di origine straniera (cittadino extracomunitario, per i cittadini dell’Unione Europea si fa riferimento al D.gls n. 30 del 6 febbraio 2007 e successive modifiche) oltre ai requisiti indicati è necessario il titolo di soggiorno e il passaporto o documento equipollente per iscriversi nella popolazione residente di un determinato Comune.
Che cosa comporta per un cittadino di origine straniera non avere la residenza oltre alle negazioni sopra citate?
La residenza incide sulla richiesta del titolo di soggiorno. Uno dei requisiti fondamentali per ottenere il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, art 9 del Testo Unico immigrazione, è la residenza. Sono necessari 5 anni di residenza nel territorio italiano.
Anche per la richiesta della cittadinanza italiana a sensi dall’art. 9 della Legge n. 91/92 sulla cittadinanza sono richiesti 10 anni ininterrotti di residenza.

L’articolo 5 del Piano Casa del governo Renzi dal titolo Lotta all’occupazione abusiva di immobili risulta essere una lotta a chi è stato tagliato fuori dai circuiti di accoglienza e a chi ha cercato risposte alla crisi autoorganizzandosi e sottraendo immobili alla rendita e all’abbandono, negando una serie di diritti fondamentali. Non poter accedere all’allacciamento delle utenze significa una privazione della dignità , non accedere alla residenza(in cui in molti casi viene negato anche l’accesso al lavoro) non produce altro che invisibilità marginalità e possibili forme di sfruttamento.

Abbattiamo le frontiere per costruire un’Europa di diritti

Lottiamo insieme a tante e tanti altri per abbattere le frontiere esterne che producono morte e per rompere i confini interni che impediscono l’acceso ai diritti fondamentali, come il diritto all’abitare e il diritto alla salute.

Il diritto alla salute, così come il diritto all’abitare è un diritto negato che riguarda migranti e non.
Nel 1989 vengono introdotti i Ticket sanitari: nel corso del tempo sono passati “da strumento di responsabilizzazione del cittadino, per disincentivare gli eccessi nel consumo di farmaci e prestazioni mediche” ad un vero e proprio finanziamento della sanità: ciò è accaduto nonostante il servizio sanitario sia già finanziato dal cittadino attraverso le sue tasse.
Una privatizzazione silente dei servizi spinge inoltre il cittadino a rivolgersi a strutture convenzionate al SSN o addirittura al privato (pagando prestazioni per intero), in quella che egli stesso crede sia una libera scelta, ma in realtà è solo esasperazione legata alla lunghezza delle liste d’attesa e ai paradossi iniqui della libera professione intramoenia. I ticket hanno una grossa importanza in questo processo, portando all’azzeramento quasi totale delle differenze tra pubblico e privato.
Tante persone rinunciano ogni giorno alle cure dentarie o alle cure fisioterapiche, perfino alle visite specialistiche, per motivi esclusivamente economici.
I migranti, in particolare le persone sprovviste di permesso di soggiorno, sono l’anello più debole di un processo che ormai coinvolge milioni di persone in Italia.
Ci mobilitiamo a livello pubblico manifestando perchè il diritto alla salute sia un diritto universalmente riconosciuto, «la salute non è profitto, nessuno sia escluso», contro il mancato recepimento dell’”Accordo Stato-Regioni per l’assistenza sanitaria alla popolazione straniera” e le disuguaglianze che si creano fra la popolazione nell’accesso ai percorsi di cura. Vogliamo proseguire una battaglia a garanzia di un diritto universale, pensiamo a tutte le persone che si sono rivolte ai nostri sportelli non in grado di poter accedere ad una visita perché impossibilitati a pagare il ticket: i migranti provenienti dalla Libia, che hanno avuto una forma di protezione internazionale, così come altri in possesso dello stesso tipo di permesso di soggiorno, i quali, non avendo mai lavorato e non rientrando nella categoria disoccupati, non possono essere esenti dal pagamento del ticket. Tutti quelli che sono stati artigiani o lavoratori autonomi e che, non rientrando nella categoria disoccupati, non possono anch’essi essere esenti dal pagamento del ticket. I migranti che non hanno il permesso di soggiorno e non possono dichiarare lo stato di indigenza, come sarebbe in realtà previsto dall’accordo “Accordo Stato-Regioni per l’assistenza sanitaria alla popolazione straniera” (non applicato in questo punto dalla Regione Emilia Romagna).
E’ inoltre necessario contrastare prassi a livello locale che ledono il diritto alla salute. Abbiamo constatato come per esempio a Reggio Emilia non sia scontato che un richiedente asilo sia esente dal pagamento del ticket, nonostante la normativa lo preveda. Per ottenere l’esenzione è stato indispensabile attivare una serie di accompagnamenti e di pressioni presso gli uffici preposti. Queste prassi impediscono l’accesso al diritto e al percorso di autonomia della persona.

Le occupazioni a Reggio Emilia, così come in tante altre città italiane si sono unite alla lotta per il diritto alla casa, che è un diritto negato che riguarda ormai tantissime persone che vivono nel territorio reggiano. Ricordiamo il Signor Boldrini che si è tolto la vita per aver perso la casa il 23 giugno scorso. Il caso Boldrini è emblematico, è l’esempio della disperazione che attanaglia centinaia di famiglie, sia italiane che migranti, morosi incolpevoli che a causa della crisi si sono ritrovati in una spirale che li ha rapidamente privati dei diritti fondamentali per poter definire la propria vita degna. Dopo aver perso il lavoro ed essere rimasto senza reddito diventa impossibile pagare affitto ed utenze, così si finisce vittime di pignoramenti e sfratti.
Per fronteggiare il problema e superare il paradosso di “case senza persone e persone senza casa” crediamo sia necessario trasformare radicalmente l’esistente, capovolgendo il modello di sviluppo della città: recuperare e riqualificare gli immobili sfitti, contrastando la cementificazione ed il consumo di suolo, dando anche la possibilità alle stesse persone che sono rimaste senza casa di poter lavorare al loro ripristino; utilizzare i beni confiscati alla malavita per dare spazio a chi ne ha bisogno; garantire le utenze minime ai morosi incolpevoli; riconoscere la residenza di tutte le persone senza casa che vivono nel territorio cittadino per poter accedere ai servizi sanitari e sociali. E’ inoltre necessario il blocco degli sfratti e la requisizione degli immobili sfitti perché la vita vale molto più della proprietà privata.

Video:

Voci dalle case occupate

Makan
Makan viene dal Mali, è in Italia dal 2011, dopo aver attraversato il deserto in Algeria ed essere arrivato nel 2009 in Libia, da cui è partito allo scoppio della guerra. E’ sbarcato a Lampedusa, passato dalla Sicilia, e arrivato a Reggio Emilia. Qui si è trovato, come tanti, alla fine dell’Emergenza Nord Africa, con il permesso di soggiorno ma senza un lavoro e un posto dove vivere. Dopo quattro mesi di accoglienza al dormitorio della Caritas l’unica alternativa alla strada, senza soldi per un affitto, è stata la ex fabbrica delle Reggiane, nella zona Nord di Reggio Emilia. Entrare nella casa occupata di via Gramsci è stata l’unica possibilità per una vita degna. Sono due mesi che Makan vive qui con altre quattro persone, e si augura di poter continuare a vivere nella casa, finchè non avrà le risorse per potersi permettere un affitto.

Ali
Ali viene dal Burkina Faso, ha deciso di partire nel 2005 dal suo paese per una crisi familiare. E’ partito insieme a suo fratello, ma hanno deciso di raggiungere due paesi diversi. Lui si è diretto in Niger, partito con l’equivalente di 5 euro in tasca. Arrivato in Niger, tramite un contatto, è riuscito a trovare un camion che andava verso Nord. Dopo molte tappe e tanti giorni di viaggio è riuscito ad arrivare in Libia. E’ vissuto 5 anni a Tripoli, lavorando fino allo scoppio della guerra, quando la situazione non era più sicura, soprattutto per gli stranieri. Ha deciso di partire per l’Italia, imbarcandosi su un’imbarcazione che dopo tre giorni di viaggio ha smarrito la rotta. Salvato da una nave, è stato portato a Lampedusa e da qui in Sicilia, quindi in Emilia Romagna, a Sant’Ilario d’Enza. Lì, entrato nel percorso d’accoglienza, ha lavorato con il Comune come volontario. Alla fine del percorso dell’emergenza Nord Africa si è trovato a vivere in strada, dormendo per otto mesi nella ex fabbrica delle Reggiane. Ha chiesto aiuto alla Caritas, ma senza successo. Oggi Ali vive a via Gorizia 12, in una casa occupata da alcuni migranti con il supporto dell’associazione Città Migrante; lo stabile è occupato da circa un anno. Ora vive tranquillo in un luogo che, per quanto precario, gli garantisce una certa serenità.

Dansa
Dansa viene dal Mali, è partito nel 2010 dal suo paese, perché non riusciva più a vivere bene lì, lasciando i suoi genitori e i suoi fratelli. E’ passato dall’Algeria, raccogliendo, con 3 mesi di lavoro, i soldi necessari alla partenza. Aveva solo 14 anni quando è partito per la Libia, ha attraversato faticosamente, con sette ore di camminata, il tratto di deserto per passare il confine libico. In Libia, grazie ad alcuni suoi connazionali maliani, ha trovato un lavoro; nel giugno del 2011 ha deciso di partire alla volta dell’Italia, con un viaggio altrettanto difficile, erano in 235 su una barca, 3 giorni senza camminare, mangiare né bere. Appena arrivato in Italia è stato trattenuto in un campo per minori a Lampedusa, poi è stato trasferito a Massa Carrara, quindi a Viano, in provincia di Reggio Emilia. Al compimento dei 18 anni il progetto di accoglienza per lui è terminato, si è trovato in strada, ha provato a cercare lavoro prima a Napoli, poi a Rosarno, in Calabria. Finita la stagione come bracciante è tornato a Reggio, ha fatto un tirocinio di inserimento, senza trovare opportunità. Insieme ad altri ragazzi maliani è finito anche lui a dormire alle Reggiane, in cui tuttora dormono decine e decine di persone, senza servizi igienici, elettricità, acqua e senza una protezione dal freddo invernale. Ora è contento della sua situazione, da quando è entrato nella casa occupata di via Gramsci, ha la tranquillità di una casa, da cui poter ripartire per cercare anche un lavoro e una diversa stabilità della propria vita. Adesso ha un permesso umanitario, la sua famiglia gli manca, non la vede da anni, ma sa di non poter tornare in questo momento in un paese in guerra come il Mali.

Abou
Abou viene dalla Guinea, è arrivato in Italia dalla Repubblica Ceca. Passato da Milano, è arrivato poi a Reggio Emilia. Ha provato a chiedere asilo politico in città, rivolgendosi a vari enti, tra cui Comune e Caritas, senza riuscire a trovare aiuto, dormendo in stazione, in una condizione di estrema sofferenza. Ha chiesto appoggio all’associazione Città Migrante, è entrato nella casa occupata di via Gorizia, ha avuto una casa, dei vestiti puliti, un supporto per la richiesta di asilo, ha potuto imparare meglio la lingua italiana. Ha vissuto in tanti posti in Europa, ma adesso ha ritrovato finalmente, dopo tanto tempo, un po’ di serenità e la dignità di sentirsi di nuovo una persona.

A cura di ass. Città Migrante

Commento all’art 5 del Piano Casa Lupi- Renzi a cura dell’avv. Alessandra Scaglioni

La residenza è la fotografia di un soggetto nella parte di territorio in cui si trova in un dato momento della vita. Lega la persona al contesto in cui vive e gli permette di esercitare i suoi diritti fondamentali, quelli sanciti dalla carta costituzionale.
Ma non solo. Permette al sistema di pubblica amministrazione di mappare il territorio sul dato umano e di avere contezza di quanti individui si muovono in quel comune andando così a fare emergere il dato esatto di popolazione, essenziale anche per la equa distribuzione delle risorse di welfare.
Pertanto avere la residenza è un diritto e chiederla è un dovere: è uno strumento comunicativo pieno tra individuo e pubblica amministrazione.
Ma se per molti di noi la residenza è solo un veloce disbrigo burocratico per altri, per i soggetti deboli, è la condizione essenziale per uscire dalla invisibilità.
Assistiamo quotidianamente a casi di persone che dopo aver perso il lavoro e di conseguenza la possibilità di mantenere una casa finiscono in strada e lì vengono letteralmente ingoiati dal vortice della invisibilità : da qui a perdere la residenza il passo è brevissimo.
Alcuni di questi soggetti, talvolta intere famiglie, hanno dovuto arrangiarsi alla giornata, in parte facendo i conti con la strada e la carità, ed altri riparandosi in alloggi di fortuna occupando stabili dismessi da molti anni e rimettendoli in pristino a volte anche con l’aiuto della popolazione civile solidale al dramma.
In questo modo si sono riappropriati di un tetto sotto il quale ricominciare a cucire una quotidianità strappata e qualcuno , in questi stabili riportati anche ad una dignità abitativa , ha chiesto la residenza e, in alcuni casi, come a Reggio Emilia, dove il comune ha applicato esattamente la normativa, a seguito di un intervento legale stragiudiziale, l’hanno ottenuta, uscendo da una situazione di illegalità forzata.
Per quanto sopra ritengo che il piano casa proposto dal governo Renzi, con particolare riferimento all’art 5, che impedisce l’ottenimento della residenza negli immobili occupati, benché sfitti da decenni e lasciati a se stessi in pieno degrado anche urbanistico, vada nettamente contrastato poiché in spregio di diritti essenziali.
Credo che un governo che non opera alla luce dei diritti essenziali e che continua a politicare sulla vita dei molti soggetti deboli sia un chiaro segno di un paese che arretra e che non fa i conti con la realtà che lo circonda.
E ’ un governo che opera ad un livello fittizio, patinato, l’ennesimo governo che opera l’esclusione e non l’inclusione.
E come sempre rimane duro compito della società civile, quella fuori dai grandi disegni, quello di battersi per gli abomini di partito ,oggi con particolare riferimento alla necessità di aprire in materia di diritto all’abitare ad un percorso di riqualificazione dal basso degli immobili sfitti ed in disuso coinvolgendo i proprietari delle case inutilizzate.