PROCESSO A CARICO DI UN’ATTIVISTA DELL’ASSOSIAZIONE CITTA’ MIGRANTE


Questa mattina, presso il Tribunale di
Reggio Emilia, è iniziato il processo a carico di un’attivista
dell’Associazione Città Migrante. Le accuse sono: diffamazione,
ingiuria e interruzione di servizio commerciale. La prima udienza si è
conclusa con il rinvio al 24 marzo prossimo in quanto non erano
presenti i teste dell’accusa.

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Il comunicato stampa

Il 25 febbraio 2008 una cinquantina di attivisti dell’associazione
Città Migrante ha indetto un presidio con conferenza stampa per
reclamare una cosa che dovrebbe essere scontata: il diritto ad essere
pagati per le prestazioni lavorative effettuate.
Diverse persone dipendenti da Ital Edil, azienda edile di Reggio
Emilia, hanno infatti denunciato di non aver ricevuto il salario
pattuito per il lavoro svolto.
Il presidio è avvenuto davanti alla sede di Technological Building 7,
poiché gran parte del personale che prima lavorava negli uffici di Ital
Edil (la cui sede era stata abbandonata misteriosamente) esercitava ora
la propria attività negli uffici di questa seconda ditta.
L’incontro di febbraio si è concluso, dopo circa un’ora di trattative,
con la promessa dell’azienda di ricevere i lavoratori entro venerdì 29
febbraio per trovare una soluzione ai loro problemi.
Così non è stato. Dopo qualche tempo, è arrivata, al contrario, una
querela con una richiesta di risarcimento di 20.000 euro. Le accuse
sono: diffamazione, ingiuria, interruzione di servizio commerciale. Si
noti che, durante il presidio di febbraio, una delegazione aveva
semplicemente suonato il campanello e salito le scale dopo che le era
stata aperta la porta presso gli uffici della Technological Building 7.
Aveva quindi espresso verbalmente le proprie richieste e perplessità,
dialogando con alcuni interlocutori prestatisi alla conversazione
volontariamente.
In quell’occasione lo striscione che accompagnava il picchetto
recitava: “Chi è l’irregolare? Lo sfruttato o lo sfruttatore?”. A
questa domanda retorica rispondono i permessi di soggiorno avuti,
tramite l’articolo 18 del testo unico sull’immigrazione (rilascio del
permesso di soggiorno per motivi di grave sfruttamento e racket), da
migranti irregolari che avevano prestato servizio senza ricevere
compenso presso la ditta Ital Edil s.r.l. .

Questa storia è il frutto amaro di un sistema economico che qui a
Reggio Emilia ha fatto del boom edilizio una miniera d’oro: per gli
enti locali una fonte enorme d’ingresso sotto forma di oneri
urbanistici, per il settore edilizio e bancario un’ occasione unica di
profitto e speculazione finanziaria, per le organizzazioni criminali un
terreno ottimale per il riciclo di danaro sporco.

E’ palese che oggi, in questo periodo di crisi (scoppiato con i mutui
subprime americani) a pagare per primo è l’esercito di lavoratori
regolari ed irregolari, in maggior parte di origine straniera, che si
vedono negati il più elementare diritto lavorativo: quello di essere
pagati.
Sottolineiamo ancora una volta che per migliaia di cittadini di origine
straniera lavorare in nero non è una scelta di comodo ma una condizione
obbligata dall’impossibilità oggettiva di potersi regolarizzare, per
cui senza un permesso di soggiorno non è possibile avere un contratto
di lavoro e di affitto in regola. La situazione attuale del territorio
reggiano, già gravissima (pensiamo alle domande di regolarizzazione
presentate con l’ultimo decreto flussi) e ben descritta dal quarto
posto nella classifica del Sole 24Ore in materia di presenza
d’irregolari in Italia, è destinata a peggiorare. La crisi porterà ad
un aumento esponenziale della disoccupazione per cui i lavoratori
migranti oggi regolari si troveranno di colpo nella condizione
d’irregolarità: senza lavoro non è possibile rinnovare il permesso di
soggiorno.
Per questo oggi più che mai chiediamo la sospensione della legge Bossi-Fini.

Noi cittadini migranti siamo stati i primi a viverci sulla pelle gli
effetti della crisi che oggi investe ampi strati della società
italiana. Purtroppo non l’abbiamo vissuta solamente vedendoci tagliati
i diritti base in ambito lavorativo, ma abbiamo assistito ad un
escalation di misure restrittive della libertà imposte dalla politica
che vuole buttarci addosso le inevitabili tensioni sociali che la crisi
innesca, fomentando razzismo e discriminazioni.

Non siamo disposti a pagare una crisi di cui non siamo responsabili.