MANDATO DI CATTURA INTERNAZIONALE PER DISSIDENTE POLITICO TOGOLESE

La conferenza stampa dell’associazione Città Migrante e dei legali

tratto dal sitto: www.meltingpot.org
i video della conferenza stampa

Amegandjin Mawule fugge dal Togo, dopo essere stato rinchiuso e torturato in un carcere clandestino perché dissidente politico dell’attuale governo del paese.
Grazie all’aiuto di alcune persone riesce ad arrivare in Italia ma al momento della richiesta di protezione internazionale presso la Questura di Reggio Emilia dopo essere stato fotosegnalato, viene tratto in arresto in esecuzione di un mandato di cattura internazionale a suo carico, che ha dato vita al tutt’ora pendente processo di estradizione: il Togo lo rivuole indietro. Questo significherebbe una sola cosa : il signor Amegandijin dovrebbe tornare in patria dove, come ha più volte dichiarato, rischierebbe la vita.
Questa storia non passa in silenzio, come molto probabilmente avviene per tante altre vicende che possono essere simili a questa. Non è una novità che dissidenti politici che fuggono dal paese di origine poichè perseguitati, una volta arrivati in Italia, senza risorse, senza reti e senza avvocati, vengono rimpatriati nel loro paese dove troppo spesso li aspetta la tortura e la morte. Anche le ultime vicende balzate agli onori della cronaca sono la testimonianza di come – con troppa facilità – queste persone vengano espulse senza tutela dei loro diritti fondamentali.

Il signor Mawule arriva allo Sportello dell’associazione Città Migrante il 22 maggio 2013 accompagnato da alcune persone che lo hanno trovato in stazione, dove da pochi giorni si trovava dopo l’arrivo in Italia. Racconta di essere un perseguitato politico. E’ uno dei membri fondatori dell’ANC (Alliance Nationale pour le Changement) , un partito politico che è all’opposizione rispetto al governo in carica. Si tratta di un partito giovane e di composizione eclettica e variegata che raccoglie le molteplici esigenze di cambiamento di un Paese che da sempre porta su di sè il peso di una dittatura che si finge democratica.
La mattina del 4 marzo scorso, in Togo, quattro agenti della polizia di Stato in borghese lo prelevano dalla sua abitazione , lo ammanettano, lo bendano e lo caricano su un’auto senza targa. Lo rinchiudono in una struttura clandestina che funge da carcere. Nei giorni seguenti viene appeso al soffitto con una corda, sottoposto a scariche elettriche , bastonato, immerso nell’acqua gelida ovvero nei suoi escrementi e sottoposto a luce abbagliante fino a riportare danni permanenti agli occhi. Lo interrogano e lo invitavano a confessare di far parte di gruppi che promuovono manifestazioni di opposizione al governo ed altre attività di apologia ovvero sovversive.
Un giorno uno dei soldati di guardia, che non partecipa agli interrogatori, lo riconosce perché cliente di un negozio in cui il signor Amegandjin aveva lavorato precedentemente.
E’ la stessa guardia a riferire al signor Mawule che si trovano in un carcere clandestino della ANR (Agenzia nazionale di Intelligence) dal quale non si esce mai sulle proprie gambe.
Il soldato riferisce poi a Mawlè che è stata organizzata la sua fuga e lo aiuta ad evadere dal carcere, dove un prete di origine ghanese lo porta oltre confine, lo cura ed organizza il viaggio fino all’arrivo in Italia.
L’associazione Città Migrante attiva le procedure per la richiesta di protezione internazionale insieme all’avvocato Alessandra Scaglioni che collabora con lo sportello, oltre ad attivare le strutture del territorio perché il signor Amegandjin possa essere accolto in un progetto, vista anche la delicata situazione in cui le persone vittime di tortura si trovano. Il territorio di Reggio Emilia non fornisce risposte e il signor Mawule viene ospitato nella casa occupata da alcuni profughi provenienti dalla Libia.
Il giorno 5 giugno 2013 il signor Amegandjin, accompagnato dall’avvocato Alessandra Scaglioni, presso la questura di Reggio Emilia per essere fotosegnalato ai fini di presentare domanda di protezione internazionale, viene tratto in arresto a causa di un mandato di cattura internazionale pendente sul suo collo e portato nelle carceri di Reggio Emilia, dove tutt’ora si trova.
L’ accusa labile su cui si fonda il mandato sarebbe quella di appropriazione indebita di denaro di proprietà della ditta per cui lavorava e furto. La Repubblica del Togo presenta il signor Mawluè come un delinquente comune di un reato tutto sommato di limitata gravità e ne chiede la consegna all’Italia. L’attenzione e l’insolito impegno con i quali il governo del Togo richiede l’estradizione di una persona accusata di un reato comune come questo fanno ben pensare che ci sia in realtà la necessità di riavere in patria un oppositore politico e testimone diretto di strutture clandestine nelle quali viene praticata la tortura e la sparizione di personaggi scomodi.
L’associazione Città Migrante, insieme ai legali Avv, Alessandra Scaglioni e Avv. Vainer Burani, nominati dopo l’arresto a Reggio Emilia, si sono attivati per reperire la documentazione relativa agli avvenimenti che il signor Amegandjin ha raccontato mettendosi in contatto con alcuni membri del partito ANC in Togo. La documentazione che i legali hanno allegato alla contro requisitoria dimostrano con certezza l’ appartenenza del signor Amegandjin ad un importante partito di opposizione e la sua qualità inconfutabile di fondatore del medesimo partito di opposizione all’attuale governo, nonché candidato alle prossime future elezioni legislative. Inoltre Mawule risulta essere un oppositore perseguitato , il suo nome è al numero 20 della “liste alphabetique” non esaustiva arrivata direttamente dalla segreteria della ANC togolese da cui si evince la sua tragica storia.
E’ fatto noto che nella repubblica del Togo gli oppositori al governo siano soggetti a persecuzioni, torture, abusi e atti degradanti anche di natura psicologica. Basta utilizzare i veicoli mediatici per accorgersene. Per esempio: Amnesty International, nel suo rapporto 2013, condanna la tortura messa in atto dalla forze di sicurezza e in special modo dall’agenzia di intelligence nazionale, contro civili e personale militare accusate arbitrariamente di complottare contro lo Stato. Inoltre dichiara che sono impiegati metodi di tortura in detenzione pre processuale allo scopo di estorcere confessioni o per implicare penalmente gli imputati.
Ora si attende di sapere quale sarà la sorte di Mawule e se verrà tutelato il suo diritto all’asilo invocato con forza e disperazione. Quello stesso Mawule che, a differenza di tanti altri, nella sua fuga ha incontrato una rete di appoggio e una difesa legale: molto probabilmente, se questo non fosse successo, Mawule non si troverebbe nella casa circondariale di Reggio Emilia ma in un carcere clandestino togolese e la sua vita sarebbe in serio pericolo.

Estradizione: nota sintetica a cura dell’Avv. Alessandra Scaglioni

L’ estradizione è forse il più tipico degli strumenti di cooperazione internazionale per la repressione dei crimini.
Soffre, come tale, del vaglio discrezionale della opportunità politica ma, al contempo, ha tra i suoi obiettivi quello di verificare che un processo di detta natura non vada a ledere diritti considerati fondamentali dalla nostra carta costituzionale.
Essa è disciplinata dagli articoli 697 e seguenti del codice di procedura penale.
La Costituzione italiana, in materia, pone tre principi fondamentali la cui ratio si riflette anche nella nuova normativa in materia di mandato di arresto europeo.
Essa infatti non è ammessa:

- per reati politici (art 10, 4 comma della Costituzione) .
Tale divieto è collegato direttamente con il diritto di asilo che si basa sulla universalizzazione della libertà e della democrazia. Ovvero. Uno Stato non può al contempo riconoscere ad uno straniero il diritto di chiedere in Italia lo status di rifugiato o protezioni similari e di poi consegnarlo senza alcun vaglio preventivo nelle mani di soggetti che potrebbero torturarlo ovvero perseguitarlo;
- è consentita solo ove sia espressamente prevista dalle convenzioni internazionali
- è radicalmente vietata l’ estradizione del cittadino per reati politici (sempre collegato al sopra richiamato articolo 10 della Costituzione).
Inoltre, l’ estradizione è concessa in presenza della doppia incriminazione : il fatto per cui si chiede l’ estradizione deve essere previsto come reato in entrambi gli ordinamenti coinvolti (Stato richiedente e richiesto) . Ma il principio qui richiamato è oggi superato dal mae (mandato di arresto europeo) tanto che numerosi sono oggi i casi di consegna obbligatoria in deroga al principio medesimo.
L’ estradizione è anche governata dal principio di specialità (art 699 cpp) che ne subordina la concessione alla condizione che lo Stato richiedente non sottoponga l’estradato ad alcuna restrizione della libertà personale per fatti anteriori alla consegna diversi da quelli per cui si discute in sede di estradizione.
Il procedimento italiano di estradizione si divide inoltre in due fasi : una giurisdizionale, avanti alla corte di Appello competente, che ha inizio con la richiesta espressa all’ imputato se dia o meno il consenso alla consegna, volta ad accertare la sussistenza delle condizioni per l’ estradabilità ed una amministrativa, volta a dare concreta esecuzione alla estradizione.
La seconda fase ha un fine prettamente politico che lascia in ogni modo al Ministero della Giustizia spazi di discrezionale valutazione sulla opportunità politica di estradare o meno un determinato soggetto.
Se l’ estradato inoltre si trova in stato di detenzione poiché è stata applicata una misura cautelare restrittiva nel corso del giudizio, lo stesso è posto in libertà sia in caso di diniego della estradizione da parte del Ministro che se non sia intervenuta una decisione dello Stesso entro 45 giorni dalla definitività della decisione giudiziaria.
Con particolare riferimento al concetto di reato politico nei procedimenti di estradizione ed il sancito divieto costituzionale si è notato come nel tempo la giurisprudenza costituzionale italiana si sia ispirata al principio della massima espansione dei diritti fondamentali anche nei procedimenti di cooperazione internazionale ai fini della repressione dei delitti considerando prevalenti le ragioni della tutela di tali diritti su valutazioni di carattere processuale od ordinamentale o su scelte politiche, ma al contempo si è assistito all’ abuso da parte di determinati stati richiedenti dello strumento giurisdizionale della estradizione.
Infatti attraverso false accuse per reati comuni ovvero addirittura quasi bagatellari si è cercato di riportare in patria soggetti ritenuti scomodi e pertanto da sopprimere,
Da qui l’esigenza disperata che le Autorità coinvolte possano cogliere il vero fine di una estradizione al di là del carteggio di facciata.