CON I BRACCIANTI IN LOTTA UNITI CONTRO LO SFRUTTAMENTO

Seguiamo con interesse e totale vicinanza quanto sta accadendo in questi giorni a Nardò, dalle ricche province dell’Emilia Romagna, quelle ricche province in cui il caporalato, lo sfruttamento e il lavoro schiavistico legalizzato sono sotto gli occhi di tutti e tutte, ma pochi ne parlano o agiscono nella direzione di contrastarlo.

Abbiamo avuto occasione durante la partecipata assemblea di Uniti contro il razzismo tenutasi a Reggio Emilia il 19 febbraio 2011, di iniziare ad approfondire fra le reti e le realtà antirazziste e di movimento nazionali, il tema dello sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici migranti e comunitarie e dello stretto nesso e legame fra queste pratiche e il paradigma della clandestinità, o forse sarebbe più opportuno dire delle continua produzione di clandestinità che le norme e politiche attuate nel nostro paese producono.

Dall’introduzione del reato di clandestinità alla sanatoria truffa del settembre 2009, passando per la spettacolarizzazione delle nuove forme di detenzione, respingimento e confinamento dei migranti e dei profughi a Lampedusa ma anche nei nuovi Cie e Ciet, fino alla frontiera di Ventimiglia, abbiamo assistito per l’ennesima volta ad una risposta feroce del governo a quell’ingovernabilità dei corpi in movimento, spinti da un alto dal diritto di scelta e dalle rivolte e tumulti nello spazio euromeditterraneo e dall’altro dalla violenza cieca della guerra e dei bombardamenti in Libia.

Le rivolte che stanno avvenendo in queste ultime ore nei Cara di Bari e al Cie di Ponte galleria raccontano molto bene quanta brutalità e sofferenza sia agita e nei confronti di queste persone.

Riteniamo che questo scenario apra un prospettiva in cui lo sfruttamento della forza lavoro migrante che conosciamo bene perché presente e radicato anche nelle economie cosiddette “sane” delle nostre città e territori, si rafforzi grazie a questi paradigmi che se da un lato continuano a riprodurre un’immagine falsificata e stereotipata del migrante da rinchiudere e segregare o quello del migrante disposto a lavorare per pochi euro all’ora, dall’altra favoriscono quelle condizioni soggettive ed oggettive in cui prosperano forme illegali ma anche legali di messa al lavoro dei e delle migranti, in deroga a tutti i CCNL e alle norme di tutela dei lavoratori e delle lavoratrici.

Che si tratti di lavoratori o lavoratrici stagionali impiegati negli hotel della costa romagnola, o di muratori sfruttati nell’edilizia a Reggio Emilia, o di braccianti impiegati nella raccolta degli agrumi o dei pomodori nel Sud d’Italia poco importa, i dispositivi di sfruttamento, l’organizzazione che li gestisce, il business che soggiace questi dispositivi sono i medesimi.

Allora quanto sta accadendo a Nardò, la capacità e la spinta ad autorganizzarsi dei braccianti che raccolgono pomodori e angurie per pochi euro al giorno, il loro modo di scioperare, ci indicano una via importante e significativa, la stessa via e percorso tracciati nel corso di questo ultimo anno. Ovvero la ricerca continua di quel comune delle lotte e delle rivendicazioni per una vita degna che guardano al diritto al salario, al lavoro con dignità, al rispetto dei contratti di categoria, all’agire nuove forme di democrazia per la costruzione di quell’alternativa sociale e politica, in cui lo sfruttamento lavorativo e la precarietà non siano l’orizzonte futuro per nessuno di noi.

Di fronte a queste eccedenze, a questi cortocircuiti di un sistema in cui il capitale sfrutta gli interstizi normativi per ricavare i maggiori profitti sulla pelle degli sfruttati, dobbiamo agire e non solo esprimere solidarietà. Perché la lotta dei braccianti a Nardò, così come quella dei profughio dei richiedenti asilo, rinchiusi nei Cara o nel “piano di accoglienza” del Governo a cura dalla protezione civile (istituendo così lo stato di emergenza), sono lotte per la democrazia nel nostro paese e non possiamo lasciarli soli.

Ass. Rumori sinistri Rimini – Ass. Città Migrante Reggio Emilia

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