La scuola dell’associazione Città Migrante rimmarrà aperta durante il mese di luglio.
Tutti i lunedì dalle 19 alle 21 presso Lab aq16 Via F.lli Manfredi 14.
Tutti i sabato dalle 16 alle 18 presso Casa bettola, Via Martiri della Bettola 6, corso per le donne con la possibilità di lasciare i figli allo spazio incontro durante le ore di studio.
La galleria fotografica riprende alcuni momenti della festa della scuola
Riflessioni a cura di Caroline Tobaty, una delle insegnati della scuola di italiano dell’ass. Città Migrante.
La prima cosa che mi colpii qualche anno fa ormai fu il nome: Città migrante. Due termini che non spesso vanno uniti. La città fatta di costruzioni e di fissità è fatta però anche di strade che portano il movimento. Ricordo che alla domanda in aula :” Di che cos’è fatta una città?” gli studenti stranieri ci risposero all’unisono : “è fatta di persone”. Tutto è detto ed eccoci quindi in una scuola città, in una scuola mondi dove nell’arco di due anni (dal 2010 al 2012) abbiamo incrociato ben 29 nazionalità diverse. Ne cito alcune : Nigeria, Albania, Repubblica domenicana, Egitto, Marocco, Cuba, Brasile, Somalia, Russia, Tunisia, Colombia, Costa d’Avorio, Burkina Faso, Siria, Libano, Moldavia ecc ecc… In questo contesto la scuola si è costruita subito una dimensione pluri-identitaria : scuola di accoglienza, scuola di italiano per stranieri, scuola di socializzazione, scuola di lotta. Scuola di accoglienza lo siamo da sempre. L’aula rimane sempre aperta, due volte a settimana. Non vanno chiuse le iscrizioni. Per cui chi si presenta per la prima volta in aula, anche il 30 di luglio, è sempre il benvenuto. In questo modo, pure se può sembrare paradossale visto che consideriamo la migrazione e quindi il movimento diritto dell’individuo, in questo modo quindi cerchiamo di offrire un riferimento fisso alle persone : sanno che ci siamo e sanno anche di essere liberi di sedersi o meno in aula.
Scuola di italiano lo siamo dall’inizio, con le nostre modalità e con i nostri errori. Siamo volontari e la maggior parte di noi non insegna per mestiere. Errori ne abbiamo fatti. All’inizio ho creduto che si potesse trasmettere la lingua italiana come lo si fa a scuola media : grammatica, verbi, esercizi grammaticali, sintassi… Sbagliato. Siamo di fronte ad adulti con vari passati scolastici, con vari percorsi di vita. Hanno già fatto un bel po’ di strada, diciamo, e l’aula deve prima di tutto essere una fermata piacevole dove poter comunicare. Non si ha fretta di prendere l’autobus che permetterà di usare alla perfezione il passato prossimo. Adattare la didattica dell’insegnamento dell’italiano L2 (con L2 si intende Italiano come seconda lingua) alle realtà nostre e agli individui che incontriamo è una sfida continua e bella.
Abbiamo deciso di basare il nostro metodo su un approccio essenzialmente orale. Comunichiamo intorno ai temi che ogni scuola per stranieri cerca di affrontare in vari modi : presentazione di se stessi e degli altri, la casa, la famiglia, la salute, la città. Ma non solo. Ed ecco che entra anche la dimensione civica della nostra scuola. Non temiamo di interrompere una lezione se succede qualcosa di importante in Italia o altrove: per i fatti di Rosarno, abbiamo parlato per almeno due lezioni (4 ore quindi) di cos’era successo, di cos’erano le Mafie; per l’anniversario della caduta del Muro di Berlino,abbiamo dedicato tempo per riflettere su quali muri erano ancora eretti nel mondo e i perché di queste frontiere; abbiamo scambiato opinioni sulle rivoluzioni arabe di questi ultimi mesi; dedichiamo sempre un po’ di tempo per parlare di Storia, così fu invitato nel 2009 uno storico reggiano a lezione per narrare le storie dei migranti italiani nel mondo; così abbiamo parlato delle dittature passate e presenti… Se c’è un compleanno fra gli studenti, molto volentieri festeggiamo (anche questo è un evento importante, no ?). Ora quindi ci tocca parlare dell’aspetto socializzante della scuola. Forse il gioiello, quel che fa rimanere e tornare lo studente, quel che da energia all’insegnante. Il climax della socializzazione è ovviamente la festa di fine anno, tanto attesa. Cito le parole di uno studente, ormai un amico che frequenta la scuola da più di due anni ormai. Charaf dice quindi : “Il giorno della festa è il giorno più bello della scuola. Sembravamo di essere un solo corpo, nonostante le patrie diverse, le lingue, le religioni e i colori delle nostre pelle. E’ un giorno meraviglioso”.
Cosa aggiungere di più ? Che ad ogni festa di fine anno mettiamo su qualche chilo in più, che balliamo a lungo, che purtroppo cantiamo troppo (Celentano versione afro, Gaber versione nostrana…Scusaci Giorgio !), che non ci vogliamo mai salutare quando arriva la sera… Siamo forti anche di collaborazioni che ci permettono di stare insieme ancora. Con le associazioni GA3, Emergency, Amnesty, Asnocre e tante altre realtà abbiamo organizzato vari eventi fra i quali la festa Welcome dell’anno scorso, via Roma, per salutare i futuri nuovi cittadini italiani, sfuggiti dalla Libia allora in guerra. Anche nel salutare, gli studenti della scuola hanno dato un contributo, accettando con il sorriso di fare straordinari con noi in aula e così alla festa Welcome ci furono l’immancabile coro Città migrante, un grande cartellone per augurare il benvenuto; percussioni africane, ritmi e balli. Non sono mancati neanche i successivi tornei di calcio in cui la scuola, con una squadra mista con studenti e prof, ha fatto la sua figura! Potrei citare anche numerosi altri momenti di condivisione, più intimi : la torta di Larissa per il suo compleanno; i disegni di Stella e Gilda diventati affreschi che ornano l’aula, il regalo di nascita fatta dalle mani di Haxire per Alberto, il bambino dei nostri due insegnanti e neo genitori; le risate fino alle lacrime di Paul che conteggiano tutti in aula; la generosità di Nesaratnam che un giorno di primavera 2009 venne per la prima volta a scuola, non per studiare ma per chiedere come poteva fare per andare all’Aquila a dare una mano (il suo moto è “io aiutare te, tu aiutare me” e così diventò anche per un po’ di mesi il meccanico ufficiale delle nostre bici rotte…)
Le scelte di collaborazione e i momenti festivi hanno sotto o sopra una traccia forte di un impegno socio-politico. Non solo socializzazione quindi, ma anche tentativo di accompagnare un ragionamento su argomenti che sembrano ovvi a tutti. Penso al test di lingua italiana per richiedenti del permesso lungo periodo (ex carta di soggiorno). Il cittadino medio e non solo è convinto che tutto sommato il test non fa male. E’ una formalità amministrativa e un dovere per lo straniero che deve parlare la lingua del paese dove vive. Al che viene in mente subito una provocazione sotto forma interrogativa : perché prima dell’instauro del test A2, lo straniero cosa faceva ? non comunicava ? Se però cerchiamo di andare un po’ più nel profondo, ci accorgiamo che il test non è solo una formalità. Anzi. Si tratta di un successivo condizionamento dell’individuo e di un nuovo ostacolo alla permanenza dei migranti sul territorio. Perché ? Perché senza il certificato A2 ottenuto dopo superamento del test, il migrante rischia di ricadere nella clandestinità, stato che nessun individuo sceglie e tanto meno desidera. Ci opponiamo al test di italiano per questo motivo e anche per un altro, forse più semplice ma non meno importante : l’accesso all’istruzione deve essere un diritto. In un paese dove i beni comuni (e la scuola ne fa parte e come) sono calpestati troppo spesso, ci sembra giusto ripetere che con “comuni” intendiamo anche “per tutti”. L’accesso all’istruzione gratuita e libera deve essere un diritto sia per il cittadino italiano sia per il cittadino straniero ed per lo Stato dovrebbe essere dovere fornire libertà totale nell’accesso alle aule. Tra l’altro abbiamo avuto studenti ben prima che il test diventi obbligo e legge e continueremo ad averne. Ovviamente cerchiamo di aiutare nel percorso che si intraprende per superare il test. L’abbiamo fatto durante tutto l’anno. Facciamo parte della rete Diritto di parola, costituita da gran parte delle scuole d’italiano per stranieri attive a Reggio Emilia. Insieme ci siamo preparati ad affrontare questa emergenza riflettendo sulle competenze linguistiche richieste per ottenere il certificato A2, confrontandosi con un linguista dell’Università degli Studi di Reggio e Modena, con un insegnante che dedica gran parte delle sue ore a costruire percorsi specifici per gli analfabeti. Tutto ciò tramite corsi di formazione essenziali per progredire e per rimettere in discussione metodi che non sono mai perfetti. In più la rete ha firmato una convenzione con il CTP Centro Territoriale Permanente (ente autorizzato all’organizzazione del test, alla correzione e al rilascio del certificato) in modo da essere parte attiva nel processo di preparazione al test. Così siamo fieri, nonostante il nostro continuo rifiuto di aderire alle logiche del test, di annunciarvi che sono stati 22 studentesse e studenti della scuola Città migrante e della scuola delle donne di Casa Bettola a presentarsi al test. E sono stati 18 a superarlo ! Siamo fieri di chi è andato e non l’ha superato, siamo fieri di chi l’ha superato. E peggio ancora per chi crede che la scuola per stranieri è solo utile e solo strumento per…chi ha superato il test sta tornando a scuola. Ciò dimostra chiaramente che il legame tessuto con gli studenti durante i mesi trascorsi assieme.
Insieme al test ci opponiamo da sempre al Pacchetto sicurezza, figlio della legge Bossi-Fini e all’accordo di integrazione, patto al quale un uomo o una donna extra comunitaria deve aderire per avere la possibilità di rimanere in Italia. Questo accordo prevede un permesso di soggiorno a punti. Potrebbe essere il figlio della patente a punti, ma la parentela non è corretta in quanto con l’accordo di integrazione non viene ritirata la macchina, ma vengono tolti i diritti di permanenza e di vita sul territorio italiano ad un individuo. Si, chi immigra deve essere bravo e per ciò deve guadagnarsi dei punti, punti che ovviamente può anche perdere. L’accordo di integrazione non nasce dalla volontà di premiare chi merita, ma dal desiderio di escludere : escludere il più debole, ad esempio pensando al lato linguistico, una persona analfabeta; escludere chi è già in parte escluso (penso ai disoccupati e con la crisi aumentano). L’accordo di integrazione è lo specchio di quel che sta diventando la società : una società che si basa sul merito e non sui diritti. Per riprendere il paragone fatto con la patente a punti, non è benzina di cui un individuo a bisogno, ma di istruzione, di cultura, di vita sociale, di condivisione, di spazi pubblici, di spazio intimo ed emotivo da costruirsi e da condividere, di tempo. Avere tempo e dare tempo a se stessi e all’altro. L’accordo di integrazione nega tutto ciò forzando un’integrazione che risulta fasulla perché basata appunto sulla negazione e sul ricatto. Di questi temi parliamo anche in aula. Condividiamo insieme le opinioni che possono essere contrastanti e le manifestazioni organizzate in piazza. Così fu per l’accordo di integrazione, entrato ufficialmente e silenziosamente in vigore il 10 marzo 2012. Ci siamo riuniti in piazza a Reggio e abbiamo detto di No, studenti e insegnanti, con i nostri modi : con la musica, con lo stare insieme, con il cibo, con la partecipazione, con la parola e insieme il teatro. Ogni lunedì e giovedì diciamo di no. Senza far rumore. Anzi diciamo di no rifiutando di riprodurre gli schemi che incarcerano fuori queste donne e questi uomini in un’ansia costante. Diciamo di no dicendo di si, ovvero accogliendo tutti senza mai richiedere un documento. No alla clandestinità, al pacchetto sicurezza, all’accordo di integrazione. Si, puoi venire a sederti in aula, senza dovere darci soldi, senza dovere mostrare un documento, senza dover dimostrare di essere in regola. Le uniche regole che magari reggono intorno alle panche della scuola sono quelle grammaticali, quelle di ascolto e di aiuto per fare un esercizio, per spiegare una parola al compagno che capisce meno l’italiano.