Tratto dal sito di Global Project:
Oltre 150 persone partecipano all’iniziati promossa da ass. Città Migrante,Laboratorio aq16 e gruppo Amnesty International di Reggio Emilia. Una giornata all’insegna dell’antirazzismo e della ribellione contro la mafia, schiavitù e ignoranza.
"Solidarietà ai migranti di Rosarno in rivolta",
questo lo slogan che racchiude il senso del presidio svoltosi oggi a Reggio
Emilia.
Solidarietà come parola chiave, insieme a ribellione contro
schiavismo, mafia e razzismo.
Oltre centocinquanta persone si sono date appuntamento in
Piazza Prampolini dalle ore 15.00, per il presidio promosso da associazione
Città Migrante, Laboratorio Aq16 e il gruppo Amnesty International di Reggio
Emilia.
Si sono susseguiti numerosi interventi al microfono,
occasione per far sentire la voce antirazzista che ancora è presente in questa
città, nonostante il panorama tracciato dai mass media dipinga una presunta
situazione di razzismo diffuso tra i cittadini.
Quest’oggi è stata anche l’occasione di festeggiare la
vittoria al processo a
carico dell’associazione Città Migrante, colpevole,
secondo un’impresa edilizia, di aver diffamato a mezzo stampa l’impresa
stessa;
l’associazione Città Migrante in quell’occasione si è soltanto resa
colpevole
di difendere decine di lavoratori migranti irregolari, prima sfruttati
nei
cantieri e poi non pagati. Come volevasi dimostrare, data
l’inattendibilità della ditta edile, la querela per diffamazione è
stata ritirata.
Possiamo vedere come quello che succede nei campi di arance
di Rosarno, succede anche al nord, nella "ricca e rossa" Reggio
Emilia, città nel quale il boom del cemento e dell’edilizia ha ridotto
centinaia di migranti irregolari in condizioni di schiavitù. E città nella
quale emerge sempre più prepotentemente la presenza ingombrante della
‘ndragheta nello stesso settore dell’edilizia.
I manifestanti hanno poi simbolicamente rovesciato al centro
della piazza una carrello ricolmo di arance, verniciate di rosso sangue, a
testimoniare la violenza del lavoro schiavista che si ripercuote sulla pelle
dei migranti fino, appunto, a farli sanguinare.