Nei giorni scorsi ci siamo trovati insieme per salutare Juana Cecilia Hazana Loayza, la quinta donna uccisa in quattro giorni. Ci siamo trovati in un luogo poco conosciuto della città di #ReggioEmilia, un po’ nascosto dietro le vie che di solito attraversiamo in modo distratto. Nascosto e poco visibile come lo sono le tante forme di violenza maschile sulle donne, di cui si tende a parlare quando è troppo tardi come nel caso di Cecilia, uccisa dal suo persecutore.
Nell’ultimo anno i femminicidi sono di nuovo aumentati in Italia. 103 donne sono state uccise nel 2021, di cui 60 uccise dal partner o dall’ex e 87 in ambito familiare-affettivo. Nel contesto della pandemia si è registrato un aumento esponenziale delle chiamate al 1522; nel 2020 le chiamate al numero contro la violenza e lo stalking sono aumentate del 79,5% rispetto all’anno precedente. Tra questi dati si legge come tante donne si sono rivolte ai Centri per forme di violenza emerse o accentuate nel contesto della crisi che stiamo attraversando, come la convivenza forzata e la perdita del lavoro.
Numeri cosi alti che sono difficili da afferrare e che fanno emergere il carattere strutturale della violenza maschile contro le donne insieme alle sue radici profonde in un modello di società patriarcale.
Durante gli ultimi due anni, con il percorso delle brigate di mutuo soccorso, abbiamo conosciuto da vicino le tante forme della violenza di genere. Perché il mutualismo non è soltanto la messa in comune di alimenti, vestiti o dispositivi digitali a chi si trova in difficoltà ma significa riconoscere la nostra interdipendenza, creando relazioni di reciprocità e costruendo forme di cura collettiva.
Nelle attività di mutuo soccorso abbiamo conosciuto tante donne che attraversano un percorso di fuoriuscita dalla violenza e che lottano per la loro autodeterminazione. In questo percorso verso l’autonomia si trovano tanti ostacoli strutturali e diverse forme di oppressione si sommano e si rafforzano, intrecciando discriminazioni sessiste e razziste dentro una cornice neoliberista che tende a frammentare le relazioni sociali e spezzare i legami solidali. Un percorso di autonomia che deve essere anche economica, quindi una battaglia nel mondo del lavoro che spesso istituzionalmente relega il lavoro femminile a lavoro povero, e un’autonomia di diritto al soggiorno per quelle donne di origine straniera il cui permesso di soggiorno è legato a quello del marito, condizione che spesso costringe le donne a non allontanarsi da un contesto familiare di violenza fisica o psicologica.
Inoltre vediamo come le relazioni familiari asimmetriche tendono a scaricare sulle donne il carico di cura e le forme di riproduzione sociale senza riconoscerli, nonostante abbiamo visto quanto siano fondamentali nel contesto della pandemia.
Il 25 novembre è la giornata internazionale contro la violenza maschile sulle donne. Pensiamo che sia importante continuare a lottare insieme ogni giorno per non abituarci mai a questi numeri terribili, rompendo la normalizzazione della violenza di genere e affermando la nostra autodeterminazione.
Per questo invitiamo tutte e tutti a partecipare alle mobilitazioni organizzate sul territorio da Non Una Di Meno – Reggio Emilia, Non da sola e Donne in Nero, con tante iniziative durante la settimane e il presidio in piazza Prampolini venerdì 26 novembre.
Nello stesso tempo vogliamo continuare a costruire contesti e relazioni di cura collettiva attraverso pratiche solidali e mutualistici e per questo invitiamo tutte e tutti che vogliono unirsi alle Brigate di mutuo soccorso all’incontro pubblico, sempre venerdì 26 novembre al Lab AQ16
Città Migrante – LabAQ16 – Casa Bettola