Guerre sante: non sulla nostra pelle

10915215_10205907620033478_4004781741318661819_n

PARIGI, 7 Gennaio 2015. Si muore ammazzati, oggi dentro la redazione del un giornale satirico Charlie Hebdo, ieri altrove, altre terre, altri mari, domani chissà. Un’altra strage, altri morti da contare.

Ma si muore ogni giorno, e non solo fisicamente. Si muore tutte le volte che un diritto viene negato, tutte le volte che la dignità umana viene calpestata, tutte le volte che si è privati della libertà. Libertà di esprimersi, libertà di scappare dagli orrori della guerra, libertà di scegliere dove vivere, chi amare, libertà di essere.

Tante storie diverse, stesso finale. E tutte le volte la realtà che piomba come un macigno sulle nostre coscienze, che ci ordina di dire NO, di urlare che noi non ci stiamo.

Tante domande, poche risposte. Le uniche che riusciamo a darci le troviamo guardandoci intorno, guardando negli occhi le nostre compagne, i nostri compagni, le persone con cui tutti i giorni facciamo un pezzo di strada. Perché noi NO lo diciamo tutti i giorni, tutte le volte che vediamo crescere le nostre scuole di italiano, tutte le volte che con le nostre vite, le nostre voci, quelle dei nostri figli ridiamo vita a spazi vuoti, lasciati all’abbandono, tutte le volte che ci riprendiamo quello che ci è stato tolto, tutte le volte che stiamo di fianco a chi sono negati i diritti che rendono una vita degna, diritto ad avere una casa, un’assistenza sanitaria.

Noi diciamo no tutte le volte che uccidiamo le nostre paure, tutte le volte che insegniamo ai nostri figli che la diversità è vita, quando riempiamo le piazze e quando andiamo avanti nonostante provino a fermarci con pesanti provvedimenti cautelari che condizionano le nostre vite.

E a volte vinciamo, tutte le volte che la nostra paura muore noi vinciamo. Ed è questa l’unica guerra che combattiamo, quella per i diritti, per costruire un’alternativa, dove ci sia spazio per tuttee tutti, nessuno escluso.

Condividiamo e facciamo nostre le righe scritte sul sito Dinamo Press:

L’attacco a Charlie Hebdo, “journal irresponsable”, è un dramma terribile, un attacco diretto alla libertà d’espressione e di stampa, oltre che una tragedia che è costata la vita già a 12 persone.

Chi ha sparato le raffiche di kalashnikov dentro la redazione del giornale e poi in strada appartiene alle frange dell’islamismo radicale e armato? Jihadisti di ritorno? Terroristi fatti in casa o di importazione? Non lo sappiamo ancora ma abbiamo altre certezze.

Charlie Hebdo è un giornale di satira, espressione di una cultura libertaria che ha sempre rifiutato l’idea che possa esserci un qualsivoglia argomento tabù su cui esercitare la satira. Già immaginiamo le reazione a quanto accaduto, come la morte di giornalisti che si sono battuti, in maniera spesso controversa, per la libertà d’espressione, sarà strumentalizzata da chi dirà “siamo sotto attacco”, “siamo in guerra”, “tornano le crociate”. E noi dovremmo usare tutto il fiato che abbiamo in corpo per dire: no, non siamo in guerra, o almeno non siamo in guerra noi “europei e bianchi” contro le comunità migranti che vivono con noi nelle metropoli europee. Dovremmo dire siamo in guerra contro ogni fascismo di ogni matrice, e per questo ad esempio siamo al fianco dei partigiani del Rojava che si battono contro l’Isis e siamo stati a fianco dei giovani delle piazze delle primavere arabe.

Urlare che l’unica guerra che si combatte nelle nostre città è quella di chi impone la povertà e la miseria a tutti, migranti e indigeni, nelle periferie delle metropoli e nelle province di tutta Europa. Vedremo sciacalli come Salvini e Le Pen lanciare i loro slogan truculenti, i loro sgherri agire nell’ombra o alla luce del sole per lanciare le loro crociate. Dovremo lottare per non fare arruolare i giovani proletari delle banlieues delle nostre città in qualsiasi guerra santa, sia quella di qualche califfo o imam o quella dei fascio-leghisti e degli islamofobi.

La strage di Parigi ci ha lasciati addolorati, sgomenti, arrabbiati. Tutti sentiamo il bisogno di reagire. Ricordiamo quello che il premier norvegese Stoltenberg disse dopo la strage di Utoya del 2011: “Reagiremo con più democrazia, più apertura e più diritti”.

Non vogliamo cedere alla paura e all’odio. Rifiutiamo la logica di chi divide il mondo in base alla religione, al colore della pelle, alla nazionalità. Rifiutiamo la logica di chi specula sulla morte per i propri interessi, alimentando una spirale di odio e violenza. È il momento di stare insieme, di far sentire la voce di tutti quelli, e sono tanti, che di fronte alla morte e alla violenza rispondono con il dialogo, la solidarietà e la pratica dei diritti. Tutti quelli che non fanno distinzione tra le vittime di Utoya e Peshawar, di Baghdad, di Baqa e di Parigi, nel Mediterraneo e a New York. Tutti quelli che credono che diritti, democrazia e libertà siano l’unico antidoto alla guerra, alla violenza e al terrore. Dove l’odio divide, i diritti possono unire.