CONTRO LA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA CONTRO LO SFRUTTAMENTO PER I DIRITTI DEI LAVORATORI

A breve avrà luogo la terza udienza del processo a carico di un’attivista dell’associazione Città Migrante. (data ancora da stabilirsi).
Nel frattempo invitiamo tutti a mobilitarsi sabato 11 luglio contro il pacchetto sicurezza partecipando alla manifestazione indetta dall’assemblea io non ho paura

La parte dell’attività dell’associazione che viene messa sotto processo

L’associazione Città Migrante, fra le tante attività, gestisce già da anni uno sportello informativo rivolto ai cittadini di origine straniera. Le persone si rivolgono allo sportello per diverse necessità che vanno dal rinnovo del permesso di soggiorno, alla domanda di nulla osta al ricongiungimento familiare, alla richiesta di cittadinanza, a quella di asilo politico e tante altre pratiche.

Molte sono anche le segnalazioni di discriminazioni che i cittadini migranti subiscono nella nostra città. Fra queste moltissime sono state quelle di sfruttamento della manodopera migrante e soprattutto irregolare. L’associazione ha in questo modo la possibilità di monitorare quello che succede nel proprio territorio e non solo di accompagnare i migranti che chiedono aiuto nella risoluzione dei casi ma di denunciare pubblicamente ciò che avviene troppo spesso e di cui troppo poco si parla, di analizzarne le cause e di capire il meccanismo perverso del governo delle migrazioni e le conseguenze che questo ha su tante vite.

Perché sono così tante le denuncie di discriminazioni nel mondo del lavoro che ci vengono portate dai cittadini di origine straniera, arrivando fino alla riduzione in schiavitù?

La legge sull’immigrazione prevede che una delle condizioni indispensabili per il rinnovo del permesso di soggiorno sia il lavoro. Inoltre il contratto di lavoro determina la durata del permesso di soggiorno. Questo significa non poter poi accedere ad alcuni servizi, come per esempio l’edilizia residenziale pubblica che prevede come uno dei requisiti un minimo di due anni di durata del permesso di soggiorno. Questo strettissimo legame fra soggiorno e lavoro viene ulteriormente evidenziato dall’art 5 bis del Testo unico che prevede l’obbligo della stipula del contratto di soggiorno. Questo strettissimo vincolo legislativo fra permesso di soggiorno e lavoro mette il lavoratore migrante in una posizione subalterna e di possibile ricattabilità da parte del datore di lavoro. Questo perché il cittadino di origine straniera può trovarsi costretto ad accettare lavori sottopagati o a lavorare in condizioni di disagio, a non far valere i propri diritti in quanto lavoratore proprio perché dal suo contratto di lavoro dipende la regolarità del soggiorno nel territorio italiano.

Molte volte ci siamo sentiti dire al nostro sportello: non posso lasciare il lavoro perché il mio permesso di soggiorno sta per scadere. Per esempio da parte di assistenti familiari che vivono condizioni di forte disagio lavorativo all’interno delle famiglie costrette a lavorare senza giorno di riposo o a dormire nella stessa stanza della persona che assistono.

Oggi , dentro la crisi, il nesso tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro mostra la sua natura di dispositivo che punta a disciplinare violentemente la mobilità dei migranti, introducendo al tempo stesso una spaccatura e una divisione all’interno della composizione del lavoro. La crisi globale che stiamo attraversando non manca e non mancherà in futuro di avere pesanti ripercussioni anche per quanto riguarda la vita dei migranti e più in generale sui fenomeni migratori.

Se sempre l’immigrazione è stata considerata “utile”(intendiamo da un punto di vista di produzione economica), oggi la crisi e la conseguente chiusura di aziende, fabbriche, cooperative, industrie, pone un problema nuovo: migliaia di persone verranno licenziate e per gli immigrati ci sarà anche la perdita del titolo di soggiorno. Che ne sarà di questi lavoratori, in larga parte già formati e professionalizzati, che dovranno essere espulsi per poi riassumerne altri
quando ci saranno fasi di ripresa? La legislazione prevede un permesso di soggiorno per attesa occupazione della durata di sei mesi. E se in questi sei mesi il migrante non avrà una nuova occupazione si troverà nella condizione di soggiorno irregolare. Come abbiamo detto questo costringe il migrante a dover accettare ogni forma e condizione di lavoro.

Dentro allo scenario della crisi si stanno riscrivendo nuove regole, fra cui quelle che avranno un violento impatto negativo sulla vita dei migranti. Parliamo del ddl733 (pacchetto sicurezza). Ci sono moltissime norme che vanno a restringere il campo dei diritti dei migranti. Soprattutto per quelli che già sono qui. Pesanti restrizioni per i ricongiungimenti, tasse per il rinnovo del permesso di soggiorno , permesso di soggiorno per contrarre il matrimonio, nuovi criteri per l’iscrizione anagrafica, trattenimento nei cpt per 6 mesi, permesso di soggiorno a punti ed anche il reato di ingresso e soggiorno illegale.

Abbiamo fino ad ora parlato di quei migranti che vengono definiti regolari, cioè provvisti di un permesso di soggiorno. Ma quando ci troviamo a parlare con i migranti ci rendiamo conto come periodi di soggiorno irregolare siano la normalità. La maggior parte di migranti che oggi sono regolari lo sono grazie a sanatorie (l’ultima è stata nel 2002) o decreti flussi utilizzati come regolarizzazioni. Che cosa significa questo?

Abbiamo prima detto che il soggiorno è strettamente legato al lavoro ma non è esatto il contrario. Cioè il solo fatto di avere a disposizione un lavoro o un datore di lavoro disponibile a regolarizzare la posizione non danno il diritto ad un soggiorno regolare. La disposizione dei flussi di ingresso è regolata dall’art 3 del Testo unico. Si tratta dei tanto conosciuti decreti flussi. Il decreto flussi stabilisce le quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello stato per lavoro subordinato, autonomo e stagionale. La normativa prevede che la domanda di assunzione attraverso il decreto flussi sia inoltrata per un lavoratore residente all’estero ma, come noto, la maggior
parte delle richieste avviene in realtà per migranti che già vivono e lavorano
nel territorio italiano dal momento che non vi sono altri canali di regolarizzazione del soggiorno. Questo è facile anche da immaginare perché
sarebbe molto improbabile che un datore di lavoro sia disposto ad assumere una persona che non ha mai visto e conosciuto prima. Sebbene presente in Italia, una volta ricevuto il nulla osta il lavoratore deve ritornare al paese di
origine per ritirare il visto di ingresso per motivi di lavoro intraprendendo un
viaggio clandestino a ritroso con il rischio di incorrere in un provvedimento
di espulsione. Innanzitutto le domande inoltrate hanno sempre superato di un gran numero le quote messe a disposizione, quindi questo crea una gara di chi prima inoltra la domanda. Ma non è tutto qui. L’iter è molto lungo e complicato e non sempre va a buon fine, per esempio se il migrante ha già avuto un provvedimento di espulsione il suo visto di ingresso o il suo futuro permesso di soggiorno per motivi di lavoro molto probabilmente verranno bloccati.
Infatti non a caso si è parlato della lotteria del decreto flussi. Molte volte capita anche che il datore di lavoro non è disposto ad aspettare i tempi di ri-ingresso del lavoratore (anche di più di un anno dall’inizio della procedura) e il lavoratore si trova costretto ad “acquistare” un lavoro alimentando il mercato nero e gli sfruttatori di esseri umani. (Abbiamo conoscenza di pagamenti fino ad 8000 euro per domande di assunzione tramite decreto flussi). I fortunati che vincono la lotteria intraprendono il viaggio clandestino a ritroso e in molti casi pagano per riuscire ad ottenere prima della scadenza del nulla osta (6 mesi) un appuntamento all’ambasciata per ritirare il visto di ingresso riempiendo ancora una volte le tasche dell’economia sommersa.

Durante l’ultimo decreto flussi (2007) a Reggio Emilia sono state inoltrate a Reggio Emilia 13.563 domande di assunzione, i posti disponibili sono meno di 1/3. Questo dato è significativo per comprendere la dimensione del fenomeno del lavoro nero, della clandestinità forzata, dell’assenza di procedure di emersione dall’irregolarità che tocca anche la nostra città.

L’irregolarità e di conseguenza il lavoro nero non sono quindi effetti collaterali ma bensì strutturali. Viene quindi naturale chiedersi che utilità hanno questi soggetti privi di permesso di soggiorno nel mercato del lavoro?Queste persone sono di fatto, dal punto di vista sociale, ricattabili. Predisposte cioè al lavoro in nero e di conseguenza sfruttabili senza ritegno, “sospese” dal diritto.

La ricattabilità nei posti di lavoro a partire da chi un permesso di soggiorno non ce l’ha ed è costretto ad alimentare le tasche dell’economia sommersa lavorando sottopagato e sfruttato a chi deve rinnovare il permesso di soggiorno ed accetta condizioni di lavoro svantaggiate, alle diverse tipologie di contratto che pongono forme di stratificazione e differenziazione all’interno del mondo lavoro non fanno altro che regolamentare il mercato del lavoro riducendo in questo modo la sfera complessiva dei diritti di tutti.

Perché il processo? Città Migrante contro la criminalità organizzata, contro lo sfruttamento nel mondo del lavoro.

Molti lavoratori di origine straniera in maggior parte senza permesso di soggiorno hanno lavorato, soprattutto nel settore dell’edilizia senza ricevere il compenso (o a volte solo una parte) per la prestazione svolta.

In poche parole lavoro gratis. Città Migrante ha deciso di sostenere quei lavoratori che con coraggio e stanchi di sentirsi dire : denunciami pure tanto sei un clandestino sono usciti allo scoperto per riprendersi un diritto base, che dovrebbe essere scontato: la paga al lavoro. L’associazione insieme a questi lavoratori ha intrapreso un percorso di denuncia pubblica e di
assistenza legale con l’appoggio di un avvocato presentando richiesta di
convocazione fra le parti presso la direzione provinciale del lavoro, quello
che viene chiamato tentativo di conciliazione per poter poi intraprendere una causa nel caso in cui appunto la conciliazione non vada a buon fine.

Il direttore della Direzione Provinciale del lavoro di Reggio Emilia dichiara che i lavoratori hanno posto un’istanza ma non avevano i requisiti per porla. I “clandestini” non possono attivare il tentativo di conciliazione previsto dall’art n. 410 del Codice di Procedura Civile presso la nostra direzione né tanto meno, in egual misura, il tentativo di conciliazione con l’art n. 411 presso un’organizzazione sindacale.
In realtà non si trova scritto da nessuna parte quanto dichiarato dal Direttore
della Dpl di Reggio Emilia. Si può inoltre aggiungere che nell’ordinamento
italiano esistono delle norme che possono essere applicate anche ai lavoratori irregolari. Queste risalgono al Codice Civile del 1942, in particolare, gli artt n. 2126 e n. 2116, costituiscono la base giuridica per garantire al lavoratore, anche se clandestino, come a tutti i lavoratori impiegati irregolarmente sul territorio italiano, il diritto di recuperare le differenze fra quanto avuto dal datore di lavoro e quanto sarebbe dovuto in applicazione dei Contratti Collettivi Nazionali. E’ quindi prevista nel nostro ordinamento la possibilità, anche per i clandestini, di avviare vertenze per il recuperodel salario dovuto.

L’associazione ha più volte denunciato questo gravissimo fatto provocando anche la reazione dei Giuristi democratici che hanno scritto una lettera al direttore della Dpl e all’allora Ministro del lavoro. Purtroppo nonostante la campagna lanciata da Città Migrante le forze sociali che si occupano di lavoro e le istituzioni sono rimaste in silenzio di fronte a questa pesante affermazione e presa di posizione della Direzione provinciale del lavoro, atteggiamento che tutt’ora è in corso e che istituzionalizza la schiavitù, una legge però non ancora attiva ma a Reggio Emilia già effettiva. Reggio Emilia porta con se questo orribile primato nonostante venga più volte citata come città dalle buone prassi soprattutto in tema di integrazione. Forse non tutti sanno che è avanguardia nell’applicazione del pacchetto sicurezza, non solo nel divieto di manifestare in centro storico nel fine settimana ma anche nell’impedire il tentativo di conciliazione e i matrimoni per chi non ha il permesso di soggiorno. L’entrata in vigore del pacchetto sicurezza prevedrà l’esibizione del permesso di soggiorno per gli atti civili e quindi anche per il tentativo di conciliazione presso le direzioni provinciali del lavoro di
tutta Italia rendendo effettivamente gli irregolari schiavi per legge e il permesso di soggiorno per poter contrarre matrimonio. A Reggio Emilia l’ufficio matrimoni, già dall’estate scorsa chiede il permesso di soggiorno, che non è ostativo al matrimonio, ma in caso che non venga esibito la persona viene segnalata alla questura, cosa che naturalmente scoraggia i matrimoni. Quando a Reggio Emilia si vantano i matrimoni misti come fatto di integrazione si dovrebbe anche parlare del perché siamo avanguardia di
questa norma del pacchetto sicurezza.

Lo sfruttamento della manodopera irregolare è un fenomeno diffuso basta pensare ai rapporti di medici senza frontiere o per esempio alle inchieste del giornalista Fabrizio Gatti. Condizioni di sfruttamento assimilabili alla schiavitù. Queste non riguardano soltanto il sud del nostro paese ed il lavoro agricolo.

Da novembre 2007 a gennaio 2008 tanti sono stati i lavoratori soprattutto di origine egiziana e moldava che ci hanno denunciato situazioni paragonabili alla schiavitù e si sono susseguiti una serie di casi che riportavano sempre il nome della stessa ditta: Ital Edil. Questi lavoratori hanno deciso di organizzarsi e di denunciare la situazione e come associazione li abbiamo sostenuti. Oltre ad una battaglia legale si è deciso di uscire allo scoperto perché questo fenomeno diventasse patrimonio e conoscenza di tutti.

Il 25 febbraio 2008 gli attivisti dell’associazione Città Migrante insieme ai lavoratori hanno indetto un presidio con conferenza stampa per reclamare una cosa che dovrebbe essere scontata: il diritto ad essere pagati per le prestazioni lavorative effettuate.
Diverse persone dipendenti da Ital Edil, azienda edile di Reggio Emilia, hanno
infatti denunciato di non aver ricevuto il salario pattuito per il lavoro
svolto.
Il presidio è avvenuto davanti alla sede di Technological Building 7, poiché
gran parte del personale che prima lavorava negli uffici di Ital Edil (la cui sede era stata abbandonata misteriosamente) esercitava ora la propria attività negli uffici di questa seconda ditta.
L’incontro di febbraio si è concluso, dopo circa un’ora di trattative, con la promessa dell’azienda di ricevere i lavoratori entro venerdì 29 febbraio per trovare una soluzione ai loro problemi.
Così non è stato. Dopo qualche tempo, è arrivata, al contrario, una querela con una richiesta di risarcimento di 20.000 euro. Le accuse sono: diffamazione, ingiuria, interruzione di servizio commerciale. Si noti che, durante il presidio di febbraio, una delegazione aveva semplicemente suonato il campanello e salito le scale dopo che le era stata aperta la porta presso gli uffici della Technological Building 7. Aveva quindi espresso verbalmente le proprie richieste e perplessità, dialogando con alcuni interlocutori prestatisi alla conversazione volontariamente.
In quell’occasione lo striscione che accompagnava il picchetto recitava: “Chi è l’irregolare? Lo sfruttato o lo sfruttatore?”. A questa domanda retorica
rispondono i permessi di soggiorno avuti, tramite l’articolo 18 del testo unico
sull’immigrazione (rilascio del permesso di soggiorno per motivi di grave
sfruttamento e racket), da migranti irregolari che avevano prestato servizio
senza ricevere compenso presso la ditta Ital Edil s.r.l. e l’inchiesta aperta dalla magistratura che fino ad ora ha portato agli arresti domiciliari di alcuni dei responsabili della ditta. Una persona era appunto la stessa che abbiamo incontrato personalmente il 25 febbraio del 2008 all’interno della sede
della Technological Building 7. Oltre a questo il fatto di essere usciti
pubblicamente ha permesso a tanti altri lavoratori sfruttati di avere il coraggio di denunciare. Tante sono state le terribili storie che questi lavoratori ci hanno poi raccontato. Purtroppo questo non è un film, non avviene dall’altra parte del mondo. È proprio a casa nostra che tutto questo sta succedendo e il silenzio è assenso. Non vogliamo essere complici di questo sistema, non abbiamo paura di denunciare. Ancora una volta Not in my name.

Queste sono alcune delle ombre, delle zone oscure di cui troppo spesso è conveniente non parlare e non portare alla luce.

Zone buie che Città Migrante continua a denunciare, a sollevare il coperchio di una pentola che è in ebollizione e proprio per questo si trova oggi sotto processo, un processo che dovrebbe riguardarci tutti come parti sociali ma anche come cittadini che vogliono essere liberi dallo sfruttamento,
liberi dalla criminalità organizzata, perché tutti abbiamo una famiglia e se
tutti ci assumessimo la responsabilità di denunciare un sistema malato saremmo sicuramente più sicuri, sicuri di non essere sfruttati e sottopagati, sicuri di vivere in una città dove siano la criminalità organizzata e il razzismo
istituzionale a non avere cittadinanza. Per questo invitiamo tutti alla
manifestazione contro il pacchetto sicurezza che si terrà sabato 11 luglio alle
ore 18. a Porta Santa Croce a Reggio indetta dall’assemblea io non ho paura e a sostenere le spese legali dei lavoratori che continuano a denunciare situazioni di sfruttamento facendo un versamento al conto corrente intestato all’associazione di volontariato Città Migrante presso Banca Popolare dell’Emilia Romagna sede di Reggio Emilia IBAN: IT68V0538712800000001851154